Toponomastica: una scienza divertente, ma attenti a non prendere granchi!!

Toponomastica. Mai sentito questa parola? Intanto è una parola composta: “topo” + “onomastica”. La seconda parte ti dovrebbe far ricordare una ricorrenza: tu festeggi il tuo compleanno, ma alcuni – i più furbi - riescono a farsi far regali anche per l’onomastico, cioè per il giorno in cui si celebra il santo che ha il tuo nome: “onomastica” ha quindi a che fare con i nomi, infatti è una parola che viene dal greco antico, e indica la “scienza dei nomi”. La prima parte della parola composta non ha niente a che vedere invece con Ratatouille, con Diddl o Topolino, i topi non c’entrano: “topos”, in greco antico, significa “luogo”. Quindi la Toponomastica è la Scienza dei nomi di luogo, studia l’origine e il significato dei nomi dei fiumi, dei monti, dei paesi, delle città. Per ognuno di noi è normale avere un nome, e saper il nome del luogo di origine: “Mi chiamo Rambaldo e sono di Lamporecchio”, si presenterà forse domani un tuo nuovo compagno di scuola.
Il nome personale lo scelgono i genitori, e possiamo chiedere a loro perché hanno scelto quello che abbiamo (nel caso di Rambaldo i genitori dovevano esser piuttosto burloni!). Il nome del luogo dove siamo nati, invece, esisteva ben prima di nostro padre, del nonno, del bisnonno, trisnonno, trisavolo, arcavolo (che non è quello che ogni tanto ci capita di ringraziare: “grazie arcavolo!” dirai pensando all’eredità che ti ha lasciato un tuo vecchio e lontano parente; altrimenti si dice “grazie al cavolo!”).
Tornando a noi: chi ha dato nome a Lamporecchio, e perché l’ha chiamato così e non invece Brigidinia, visto che proprio da lì vengono i brigidini delle fiere? E chi ha dato nome a Bibbiena, a Poppi, a Stia, al fiume Arno, al torrente Corsalone, al monte Falterona? E quei nomi, significavano qualcosa?
La toponomastica, la “scienza dei nomi di luogo”, cerca di rispondere a queste domande. Ci sono libri e dizionari scritti da esperti che ti possono aiutare a capire i nomi dei luoghi intorno a te. Sono libri affascinanti ma difficili, sono scritti per studiosi molto più grandi di te ed è quindi bene consultarli con l’aiuto degli insegnanti.
Molti nomi poi sono “ingannevoli” ed è assai facile, per chi non è esperto, prender granchi; anche perché non è detto che i toponimi che troviamo nelle cartine geografiche siano corretti, come vedrai di seguito.
Usciamo un attimo dal Casentino per imparare qualcosa di buffo, che neppure molti adulti sanno.
Se arrivi in Sardegna con il traghetto puoi sbarcare a Golfo Aranci. Questo nome ti farà immaginare una terra dal clima mite in cui, in vista del mare, si coltivano appunto gli aranci: se chiedi ai “grandi”, anche loro ti risponderanno così.

  


Ma se, arrivato in Sardegna, scendi dal traghetto e ti guardi intorno non troverai aranceti, né agrumeti; e per gli aranci dovrai andare dal fruttivendolo.
“Ma certo! gli aranci sono tipici della Sicilia, che c’entrano in Sardegna?”, dirai tu. E infatti non c’entrano niente.
Devi sapere che le prime carte particolareggiate dell’Italia furono fatte non più di un secolo fa dall’Istituto Geografico Militare. All’epoca fare un anno di vita militare era obbligatorio per tutti i giovani, e lo Stato pensò di far conoscere loro l’Italia mandandoli in regioni lontane da quella d’origine: all’epoca si viaggiava poco, non c’erano le automobili, rare le ferrovie; non c’erano poi né radio né televisione, per cui ogni città e ogni regione aveva un suo dialetto, pochi parlavano l’italiano – che era poi il toscano – e se lo facevano potevano non esser capiti.
Così i soldati che fecero le prime carte particolareggiate della Sardegna non erano sardi, e quando chiesero agli abitanti informazioni sul nome dei luoghi, spesso capirono fischi per fiaschi. E’ il caso di quello che i Galluresi – cioè i sardi di quella zona - chiamavano “gulfu de li ranci”, cioè del “Golfo dei Granchi”: i cartografi, non conoscendo il dialetto, capirono e scrissero “Golfo Aranci”, come puoi trovare anche nel tuo atlante e nell’orario dei traghetti (quando si dice prendere un granchio!).

Quando arrivi a Cagliari con il traghetto, passi accanto all’Isola dei Cavoli. “Strano nome per un’isola”, dirai tu, e infatti si tratta ancora dell’errata trascrizione del nome sardo: Is’la de is Càbunus, ovvero Isola dei Gamberi (proprio un errore del cavolo!).

Sempre in Sardegna, al largo del Golfo di Oristano, c’è ancora un’isola dal nome curioso: l’Isola di Mal di Ventre, Anche qui una buffa trascrizione di un nome sardo mal interpretato: Is’la de malu ‘entu, cioè Isola del Cattivo Vento; forse il “mal di ventre”, o piuttosto il mal di mare, era venuto davvero ai cartografi – che magari erano dei montanari piemontesi – quando giunsero con la loro barchetta a vela nell’Isola del Vento Cattivo.

Ma gli inganni toponomastici non si concentrano solo in Sardegna, sono sparsi in tutta Italia. In Lombardia, nelle prealpi orobiche, un cartografo non lombardo chiese a un abitante come si chiamasse una particolare montagna: “So mènga!”, “non lo so mica!” rispose in dialetto il montanaro, e il cartografo capì invece che quello era il nome ribattezzando la cima “Monte Somenga”, che sarebbe la “Montagna Non Lo So”.
La stessa cosa accadde per un valico della Valle d’Aosta, regione dove si parla il patois, un misto di francese e di italiano: il valligiano interrogato non conosceva il nome del luogo indicatogli, e rispose: “lou sabe pas!”, “non lo so!”, e sulla carta comparve così un Passo Loussabepas. Sempre nella Valle fu chiesto a un contadino il nome di una cascina, quello capì male la domanda e rispose orgoglioso “es la mieu!”, “è la mia!”, e sulla carta comparve un nuovo nome, la Cascina Eslamieu!.
In Veneto, una montagnola era chiamata dai locali “Colezèi”, cioè “Collinette”, e il cartografo, non veneto, trascrisse “Colle Sei” (in effetti i veneti hanno la z dolce, ma qui un diminutivo è divenuto un numero!).
In Calabria, presso Cosenza, c’è un paese che le carte geografiche indicano come San Gineto: ma non esiste nessun santo con quel nome! Infatti il paese prende il nome da una pianta caratteristica di quei luoghi, il sangineto o sanguineto. Così un alberello ha dato origine a un santo inesistente!


Il paese di San Gineto

Di errori del genere non si son fatti solo in Italia. Pensa che un’intera regione del Messico, la penisola dello Yucatàn - la terra dei Maya - si chiama così perché i primi spagnoli che vi giunsero chiesero agli indigeni: “come si chiama questa terra?”; e loro, che non avevano mai visto un uomo bianco, chiesero di rimando: “Yu ca tàn?”, cioè “ma voi chi siete?”.

“Cosa c’entra adesso questo canguro curioso?”, mi chiederai. Beh, gli inganni onomastici non finiscono con i nomi di luogo! Pensa che il nostro amico marsupiale deve il suo nome a un malinteso dei primi inglesi che – sbarcati in Australia – furono subito attirati dal simpatico saltatore e chiesero agli aborigeni (cioè agli abitanti nativi): “Come si chiama quell’animale?”, e gli aborigeni risposero gentilmente “kan ghu ru!”, cioè “non vi capiamo!”.